LA BÜDA DEL BARABEO
(Polaveno)
Barabeo era il nome con cui veniva appellato uno sconosciuto solitario di cui non si sa molto, che viveva in una grotta sotto la parete rocciosa sottostante il santuario di Santa Maria del Giogo.
Una sua veloce bibliografia la traccia Pietro Mito in un opuscolo del 1891 allegato alla “ Sentinella Bresciana”[1] e dedicato proprio alla sua strana figura di “ uomo selvaggio “: era un tale che, rimasto solo e spogliato di tutto per le sventure della vita, si era rifugiato lassù, ricavando la sua casa- meno di un canile- sotto le corne di Santa Maria, dove viveva di frutti di bosco insieme alle sue galline, vestito di cenci.
Una sorta di barbone vagabondo , che però preferiva i luoghi isolati invece delle città.
stette nella sua tana per circa quattro anni poi sparì, pare in seguito all’ennesimo furto dei suoi poveri beni e non se ne seppe più nulla. Rimane soltanto l’angusta caverna che gli diede rifugio e che porta il suo nome.
CORNIANI E CALCAGNU’
(Inzino di Gardone V.T.)
Il Corniani era alto e magro; scuro e poco ciarliero, con quattro capelli rigidi che gli cadevano su un lato della fronte come quelli di Hitler, passava per le strade di Inzino e Gardone sempre intento a infilzare mozziconi di sigaretta con la punta metallica del suo bastone.
Verso sera tornava sui suoi passi attraverso il ponte romano, piegava a sinistra per via Rovedolo e dopo una cinquantina di metri infilava un passaggio laterale verso la montagna che lo faceva accedere ai suoi “appartamenti”.
Uno di questi era al piano terra, pochi metri sopra il livello del canale idrico della vicina centrale elettrica, poco più di una fenditura nella roccia, che oggi appena si vede tra i cespugli. L’altro era il piano elevato, una ventina di metri più in alto, si trattava di una grotta vera e propria a strapiombo nella parete rocciosa; teneva qui tute le sue cose e i pochi e malandati attrezzi che utilizzava, spesso faceva levare verso il cielo un pennacchio di fumo che tutti vedevano e allora qualcuno esclamava” Ecco. il Corniani è arrivato a casa !”.
Il Calcagnù era invece basso e grassottello, più mobile e vivace di quanto la sua corporatura non facesse supporre, un po’ più giovane del Corniani, apparteneva a una famiglia inzinese di umilissime origini e lui rimasto solo per scelta o per destino si era trovato “casa” in una spelonca sul fianco del monte sopra Inzino in località Ronchetti, dietro la scuola media e di fianco al villaggio Marcolini, ora il bosco si è ripreso tutto.
I due si ignoravano, pur conducendo la medesima vita solitaria, e non si parlavano mai, anche se a volte capitava che si incontrassero. Invece la sera, appena rientrati alla propria grotta, lanciavano grida e battevano le pentole facendo un gran fracasso, quasi a comunicarsi tutto quello che non si dicevano durante il giorno.[2]
Le grotte e le cavità ipogee sono sempre state privilegiate dalla la frequentazione antropica temporanea o prolungata, forse un inconsapevole ritorno alle origini remote della natura umana, anche se non è il caso delle tre storie appena riportate, dove miseria, ignoranza ed emarginazione la fanno da padrone.
Probabilmente si potrebbero riportare decine di narrazioni simili nel contenuto ed appartenenti al patrimonio narrativo di ogni comunità, con tutta una sequela di personaggi strani o emarginati che hanno vissuto in quei luoghi, quasi a compilare un grottesco “ bestiario” delle forme di emarginazione umana che vivevano nelle spelonche: Rifugio di pastori, banditi, vagabondi, disertori bracconieri, carbonai disabili o misantropi, ricovero di emergenza durante la fienagione, il taglio del bosco o nei casi di calamità o pestilenze, e misero giaciglio per le giovani partorienti in cerca di un luogo dove abortire, la caverna come immagine protettiva del ventre caldo della madre terra ci ha sempre seguito nei millenni, e recenti sono le scoperte di un luogo di culto dedicato alla fertilità in una grotta nei pressi di San Giovanni di Polaveno, che ci testimoniano come, nonostante la falsa sicurezza della nostra iper tecnologica civiltà, siamo sempre ad un passo da quella caverna che abbiamo appena lasciato ieri.
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[1] P. Mito “ Barabeo l’uomo selvaggio “ stab. tipografico La Sentinella BS 1891
[2] Dario Mutti “Corniani e Calcagnù una vita da barboni” in Giornale di Brescia 1993