Perché lo facciamo ?
Nel 1947 il premio nobel per la letteratura André Gide chiese allo scrittore autodidatta Jan Giono che cosa fosse per lui un narratore: E’ Un narratore orale, uno di quei narratori del nord Africa che si fermano all’angolo di una strada, raccontano una storia e, se sono stati bravi, ricevono una moneta da chi si è fermato ad ascoltarli: Gidé aveva commentato: “ Io sarei morto di fame “.
Nella raccolta delle fonti orali una delle parti più ardue e difficoltose consiste appunto nella ricerca di testimonianze relative a un determinato fatto, sia esso di carattere storico o puramente culturale.
La raccolta di storie e leggende che per secoli hanno costituito il folklore narrativo della nostra gente è solo una delle tante sfaccettature appartenute all’universo di tradizioni popolari che ci permettono di ricostruire le radici del nostro passato.
Purtroppo si parte sempre in ritardo. Il rapido dilagare di informatica, radio, cinema, televisione, giornali e social network, favoriti da un concetto di conservazione del patrimonio folklorico locale, privilegiante aspetti etnografici di tipo antropico e documentale, hanno spesso relegato la “magica” dimensione narrativa del folklore a note di fine testo e nel giro di poche decine di anni sono riusciti a gettare quasi completamente nell’oblio il patrimonio narrativo della Valle Trompia e non solo.
Alcune leggende risultano ormai estinte anche nella loro struttura fondamentale, insieme alla toponomastica originale di molte località.
Altre si sono invece modificate, entrando a far parte di un nuovo genere di folklore detto: “urbano o metropolitano” all’apparenza del tutto alieno al vecchio mondo contadino, ma con generi, motivi e tecniche narrative molto più vicine ad esso di quanto si possa pensare.
Questo ha portato chi scrive a constatare come, nella stragrande maggioranza dei casi, con il decesso del narratore si verifichi anche la sparizione della leggenda stessa, per mancanza di chi sia in grado di perpetuarne il ricordo. Ogni comunità, per piccola che fosse, possedeva un repertorio di storie e leggende che venivano narrate attorno ai camini o più spesso nella penombra e nel tepore delle stalle.
Erano oltre che forma di svago nelle sere invernali, anche veicolo educativo rivestendo una duplice funzione: riabilitare l’anziano all’interno del tessuto sociale, affidandogli un ruolo attivo di narratore e pedagogo come avviene ancora nelle società tribali e preservare un patrimonio narrativo, sorta di carta d’identità culturale, nel quale una famiglia, un paese, o contrada si potesse identificare.
Nonostante questo, significativo è quanto scrive A. Brunvand [1]: “non siamo coscienti del nostro folklore più di quanto lo siamo dell’aria che respiriamo o dell’acqua che beviamo e ognuno di noi è un portatore di folklore, spesso suo malgrado“.
Per questa ragione, molto ancora si è salvato, grazie a varie realtà di aggregazione che riuniscono individui a scopo ludico o educativo provenienti da ogni classe sociale, favorendo incontri e scambi in campo folklorico più di quanto si possa immaginare. In effetti quest’opera molto deve, oltre che a ricerche effettuate da studiosi di ogni livello su varie realtà territoriali, anche all’opera di piccoli gruppi culturali locali, insegnanti e studenti di scuole appartenenti a ogni ordine e grado, singoli studiosi che agiscono in nome di un sogno e lo perseguono nell’anonimato, ma soprattutto, allo straordinario impegno di alcuni giovani scouts gardonesi che nel 1987 diedero alle stampe un importante lavoro[2] che costituisce buona parte del materiale di queste pagine, ed è stato di stimolo per proseguire nella ricerca.
A tutti costoro va la gratitudine, in quanto dimostrazione lampante di come fino a quando ci saranno persone disposte ad ascoltare altre persone disposte a raccontare, nulla andrà mai veramente perduto.
Gli autori
[1] Jan Arnold Brunvand, “Leggende Metropolitane”, Costa & Nolan, Milano 1981.
[2] Noviziato esodo Gruppo scout AGESCI Gardone V.T. 1°,“Èl casù de la pora storie e leggende della Valtrompia” , Vannini, Brescia 1987.