Bovegno fu sede centrale del Pagus romano e poi della Plebs medioevale, a capo degli antichi Comuni di Collio, Pezzaze, Cimmo, Marmentino, Pezzoro, Irma. Da un documento di acquisto boschivo contemplato nel Libro degli Annali di Pietro Voltolino, ripreso nel 1910 da Vittorio Brentana, si desume che già nel 1177 esistesse il Comune[1]. Il 18 marzo 1219 si citano il Comune de Bovagno ed il suo sindico Girardo Fondeni, come si ricava da una pergamena di Bovegno[2]. La prima citazione del Console del Comune risale invece al 1230, nella Charta promissionis [3]. Dagli Statuti del Comune (1341) è ipotizzabile il legame assai stretto tra il paese e la Pieve; l’interazione proseguì in età moderna con innumerevoli contributi ed elemosine della Communitas per la costruzione, il restauro, la manutenzione degli edifici sacri, con la corresponsione di somme per il clero locale, con il finanziamento dei maestri piuttosto che dei medici, con l’istituzione di figure a rilevanza sociale (per esempio il procuratore delle vedove, degli orfani e dei pupilli nel 1588), oltre all’acquisto di derrate alimentari a beneficio della popolazione meno abbiente. Sono molti i documenti in cui il Comune, sin dal sec. XIII, appare protagonista della vita di questo che fu, sino all’Ottocento, il centro più popoloso dell’intera Valle Trompia, superando già nel sec. XVI le 3.000 anime. L’economia di Bovegno possedeva almeno tre punti di forza: l’estrazione di metalli, ferro in primis, il taglio dei boschi e l’allevamento; ma la comunità possedeva anche diversi molini (ai primi dell’800 erano tre con complessive sette ruote)[4], orti, terreni (anche in altri centri della provincia bresciana), boschi, e ancora abbeveratoi, osterie, fucine, medoli e quant’altro fosse connesso con l’estrazione e la lavorazione del ferro, assai prospera soprattutto a partire dall’età viscontea, e ancora possedeva e dava in affitto roccoli, tese e archetti e strutture inerenti la caccia.
Nel 1252 la famiglia dei Confalonieri, feudataria vescovile, rimise le carte dei possedimenti ai Pinzoni, Valvassori trumplini forse originari del Sebino; questi ultimi s’installarono presso il Castello, abitandone la casa-torre che ancora oggi sorge nella sua mole di pietre grigie presso la piazza nel centro del paese. La casa-torre fu venduta dai Pinzoni al Comune nel 1736[5].
La consistenza territoriale di Bovegno fu soggetta nel corso dei secoli a numerosi cambiamenti: risale per esempio al 1339 la richiesta da parte del minuscolo Comune di Magno di essere unito a quello di Bovegno, istanza che venne accolta a maggioranza dalle autorità di Brescia (20 giugno 1339)[6]. Successivamente però Magno fu unito a Irma (1452)[7]. Nel 1526 il Comune di Bovegno subì il distacco di Irma.
Nel XVII secolo anche a Bovegno, come nel resto dell’irrequieta Valtrompia, non mancarono fatti di violenza e prepotenza da parte di bravi e buli: un grave episodio di sangue avvenne proprio «nel salotto comunale» durante una festa in cui s’accese una rissa nella quale rimasero uccise due persone (22 febbraio 1660)[8].
Nel corso del ‘700 il lento ma progressivo declino della Repubblica di San Marco coinvolse anche Bovegno, che nel 1714, soprattutto a causa della crisi estrattiva, decise di non versare la decima su tale importante attività[9].
Nel 1776 la frazione di Magno, parte del Comune di Irma dal 1452, tornò a unirsi definitivamente a Bovegno[10].
Con l’avvento del governo filo-francese nella piazza di Bovegno fu innalzato l’albero della libertà; anche la carta intestata del Comune riportava la figura femminile con berretto frigio tipico dell’epoca, e le date erano riportate con la nuova scansione mensile francese o, al più, con la doppia dizione (es. messidoro – giugno/luglio). Al momento del giuramento dei funzionari civici nel 1798, Matteo Gatta Segretario, vi erano a Bovegno un Giudice di pace con il suo segretario, due uscieri e due campari[11]. Nel 1802 sono menzionati un usciere, due campari, due squadratori, un massarolo, un medico, un chirurgo, un custode del santuario della Madonna, un numero imprecisato di campanari e orologiai, un organista, alcuni provvisori alle vettovaglie, montanari e tre molinari[12]. Nel 1807 sono pure citati tra gli impiegati un cancelliere cantonale (Bovegno, denominato allora Comune di Bovegno con Magno S. Lorenzo, era capoluogo del cantone VI)[13], un corriere, il segretario municipale, dei presidi alle vettovaglie e un fontanaro, e tra gli stipendiati, oltre al medico condotto e al chirurgo, anche un ostetrico[14]. Tali incarichi retribuiti rimasero grosso modo invariati anche sotto i successivi governi (dopo l’Unità risultano pure un esattore[15], un maestro a Zigole[16] e una levatrice)[17].
Nel 1805 fu istituito il Cantone VI che aveva in Bovegno il suo capoluogo. Tale Cantone divenne VIII nel 1809 e tale fu finché venne soppresso il 23 giugno del 1853 e accorpato al Distretto di Gardone. Bovegno fu anche sede di Pretura nel secolo XIX sino al 1° luglio 1923, quando l’istituto fu accorpato a quello di Gardone (R.D. 24 marzo 1923 nn. 601-602); trascorsero tuttavia solo tre anni perché, con R.D. del 24 maggio 1926, fu attivato a Bovegno un distaccamento della Pretura di Gardone, con giurisdizione su Bovegno, Pezzaze, Marmentino e Irma; la sede della Pretura era presso l’attuale casa comunale. Dal punto di vista amministrativo il Comune di Bovegno, secondo la legge comunale 20 marzo 1865 n. 2248, eleggeva 15 consiglieri.
Il 16 maggio 1926 assunse servizio il primo Podestà fascista di Bovegno, il Cav. Gustavo Brentana[18]. Sotto la nuova gestione l’ente locale s’accrebbe e i servizi resi ai cittadini furono estesi e resi più efficienti; la disoccupazione fu contrastata mediante reiterate periodiche assunzioni e opere pubbliche; tra l’altro si segnalano in quegli anni la nomina dello stradino, il servizio di bagnatura e pulizia delle strade, l’istituzione di un ufficio tecnico (deliberazione comunale del 25 febbraio 1932) con l’affido dell’incarico tecnico al geom. Ettore Contessi per £ 3.000 annue[19]. Con la fine della guerra furono designati dal C.L.N. a guidare il Comune Libero Giacomelli (fino al 29 maggio 1945) e poi Francesco Tanghetti, mentre con le elezioni del 1946 divenne primo cittadino il possidente Domenico Gatta, classe 1895, democristiano.
Il municipio nella storia
Già dal sec. XIV la casa comunale si trovava nell’abitato che ancora oggi si chiama Castello; alcuni studiosi sostengono tuttavia che in un primo tempo gli uffici civici fossero sistemati nella canonica nei pressi della chiesa plebanale eretta nel 1123 dal capomastro Martino Ubaldo e dai suoi figli con il contributo dei Comuni di Bovegno, Collio, Pezzaze, Cimmo e Marmentino[20]. Nel 1410 è documentato l’acquisto, da parte del Comune, d’una casa a essa attigua. Settant’anni più tardi fu deciso di edificare un portico davanti alla torre, e nel 1482 furono eseguiti restauri dell’antico municipio. Sul finire del secolo la nobile famiglia dei Negroboni assunse vari incarichi di potere nell’ambito del Comune, avvalendosi abilmente dei privilegi commerciali e fiscali concessi dai Veneziani alla Valtrompia per far crescere in prosperità l’intera Communitas. Fu realizzata una condotta fognaria e ben nove osterie del Comune nel 1484 risultavano “incantate”.
Nel 1489 il Comune decise di restaurare la propria sede, realizzando «una balconata grande con una colonna da mezzo alta brazza 4 e larga 3. Il camino si faccia tra le due finestre a sera parte…»[21]. E’ noto che nel XVI secolo il fondaco sotto la torre del Comune era adibito a carcere (Valentino Volta).
Frattanto anche la piazza assunse una propria fisionomia, comunque diversa da quella odierna: nel 1503 il Comune acquistò una torre con loggia, sita a nord dello slargo; nel 1565 si decise di ricostruire il municipio, che presentava allora un tetto di “scandole”, secondo uno stile tipico della fascia prealpina, ma che offriva scarse garanzie in ordine alla solidità strutturale. Il piano di ricostruzione era assai ambizioso, ma le effettive opere, causa la «penuria de’ tempi» consistettero nell’alzare di un piano l’edificio e in un restauro generale (1565-1577). Altri lavori più minuti furono compiuti nel 1584: con delibera del 17 luglio fu deciso di fare due porte a servizio del municipio, una alla sala consigliare, l’altra alla scala, mentre il 29 dello stesso mese si deliberò d’acquistare delle spalliere verdi «per ornare di sopra la Casa nuova del Commune»[22]. Un altro tassello fondamentale per l’identificazione della piazza quale fulcro del paese fu posto nel 1589, quando la confraternita della Disciplina cedette un edificio adiacente alla casa comunale, sul lato della piazza che volge a mezzogiorno, ove ora si trova l’ingresso al cortile del municipio; su tale area il Comune nel 1595 realizzò il magazzino dei grani.
Nel XVII secolo Bovegno continuò a esercitare un ruolo di primo piano nell’ambito della valle, come dimostra l’analisi del Catastico Bresciano di Giovanni da Lezze (1609-1610). Tuttavia sin quasi alla metà del secolo non si registrarono importanti modifiche al municipio e alla piazza di Castello, anche perché il periodo, a causa dell’esiziale pestilenza del 1629-30, fu assai gramo, tant’è che nelle Ordinazioni, et Regole redatte dal capitano di Brescia Girolamo Venier furono decretate sensibili decurtazioni nella paga dei dipendenti dei Comuni, eccezion fatta per Bovegno e Cesovo; in particolare per Bovegno nel documento del Capitano veneto vi è un rinvio al libro comunale delle provvisioni, purtroppo scomparso. Dopo il flagello della peste nel 1642 la torre civica, quell’antica torre quadrata medioevale che aveva assolto per molto tempo funzioni di difesa del feudo prima e della comunità poi, rovinò in parte, sicché fu abbassata e internamente tramezzata; dentro fu alloggiata un’osteria, inequivocabile segno di una sua nuova destinazione d’uso. Un non meglio precisato cantiere per la «Loza del Comune» è documentato nel 1692[23]. Probabilmente le opere di quel tempo si inserivano nel più ampio contesto di lavori che interessarono il centro di Bovegno, le case e i palazzi principali, le pubbliche vie tra la seconda metà del secolo XVII e la prima del XVIII, con l’apporto artistico e la sapienza edilizia dei mastri comacini, i quali consolidando, abbellendo e impreziosendo varie abitazioni, mutarono il volto urbanistico del paese, consegnandolo alle future generazioni nella veste severa e al tempo stesso graziosamente linda che è ancora oggi riscontrabile. Le migliorie, sovente strutturali prima che estetiche, furono rese possibili dalla prosperità di una comunità che vedeva accrescersi le richieste di ferro, confermati i privilegi sulle “ferrarezze” da parte del governo veneto, e che godeva di un’autonomia alimentare migliore di altri centri della valle grazie al fiorente patrimonio zootecnico, nonché di utili contropartite per lo sfruttamento dei suoi vasti pendii boscosi.
Una pianta del centro, redatta dall’ingegnere Matteo Gatta ai primi dell’Ottocento, risulta interessante anche per conoscere quale fosse, a grandi linee, la struttura del municipio di allora, che era composto da quattro uffici: il burò municipale, quello di pace, la sala del Consiglio (sala della casa Nazionale) la “cancelleria, ora prigione” (1802)[24]. D’altra parte, è noto che sin dal secolo XVI le prigioni erano nel fondaco sotto la torre, e il fatto che esse fossero trasferite nel palazzo comunale appare significativo della volontà di razionalizzare e modernizzare le strutture in uso alla cosa pubblica che segnò anche da questo punto di vista una discontinuità netta dal precedente regime veneziano. Di pertinenza del municipio era anche un orto, da tempo immemorabile nella disponibilità comunale, del quale fu redatta nel 1830 una stima nell’ambito dell’inventario dei beni immobili appartenenti al Comune: sito sul lato occidentale dell’edificio comunale «…sotto gli uffici della Deputazione comunale» e raggiungibile mediante un cancello d’accesso dalla pubblica via, risultava a quel tempo ampio tavole bresciane due e piedi cinque, esposto a sud, formato da terreno calcareo argilloso, «appartenente a fondi di mediocre squadra» e stimato £ 39,20[25].
Dalla succitata mappa dell’ingegner Gatta apprendiamo che a nord-ovest della piazza principale era una loggia pubblica, «ossia un portico a due fornici verso mattina ed altro pilastro nel centro, quasi ad indicare una copertura a quattro volte a crocera, per una profondità di circa “14 brassa” bresciane…» (Volta)[26]. Lavori nei locali adiacenti la “sala grande” del municipio furono condotti nel 1805 per il fabbisogno del “burò” e dell’abitazione del Cancelliere Distrettuale e della Gendarmeria Nazionale. Si legge nel progetto: «verrà abbassato al piano della sala grande della Comune, da quello dell’ospizio separandolo da una divisione che costituisca una caminata sul resto del Miglio, con Foco, e rimoderno di fenestra»[27].
Sempre il Gatta, promosso ingegnere municipale, nel 1805 progettò il restauro della torre civica, all’interno della quale nel 1807 venne insediato il presidio della Guardia Nazionale[28]. Nel 1808 la torre, che minacciava rovina, fu abbassata secondo i disegni dello stesso ingegner Gatta, e il tetto fu rifatto a quattro spioventi secondo i capitoli imposti dal Comune; la spesa preventivata dell’intervento ammontò a £ 1.152, e da una lettera dell’ing. Gatta al Sindaco recante la data del 10 ottobre sappiamo che tali lavori furono eseguiti dall’impresario Domenico Rabajoli[29].
Da un’altra planimetria, di qualche anno successiva a quella precedentemente citata (1808), si può vedere come fosse composto l’edificio comunale: da sud a nord vi erano due uffici di conciliazione, quindi la sala della municipalità (per le adunanze o “sala grande”), la cancelleria, l’ufficio protocollo, indi, procedendo in senso antiorario, la stanza per la commissione di leva, una corticella, altri tre vani la cui destinazione d’uso è imprecisata, due orti comunali, separati dal corridoio d’ingresso. Non esisteva un locale apposito invece per l’archivio, tant’è che il 10 dicembre 1810 il Gatta scriveva al Comune per un progetto di fornitura e collocazione di nuove scansie per i 200 volumi, filze, rotoli e pergamene allora malamente custoditi in un «grande ma logoro armadio situato nell’antica sala Comunale, ora divenuta inserviente alla Giudicatura di Pace per le pubbliche arringhe e dibattimenti, nonché di ridotto della Guardia Nazionale…»[30]. Quest’ultima informazione è altresì interessante giacché delinea anche dal punto di vista fisico come, sotto il dominio francese prima e austriaco poi, lo spazio un tempo riservato alla civica potestà e alla libera determinazione dell’ente comunale fosse compressa e addirittura sfrattata dalle sue sedi a beneficio di magistrature giudiziarie o, più in generale, di derivazione statale. E’ pur vero tuttavia che gli ambienti all’interno dei quali tali magistrati operavano rimasero di proprietà comunale, come è dimostrato, per esempio, da una perizia congiunta di G. B. Pedretti e M. Gatta che fissava nel 1807 il canone annuo da versare al Comune in 80 lire di Milano[31].
Nel 1835 si intervenne a sistemare il tetto del municipio[32]. Nel 1854-55 vennero eseguiti lavori per una nuova fontana nella casa comunale e si fornì il municipio di un nuovo acquedotto eseguito da Gio. Battista Cavadini; parimenti nell’allora piazza della Posta di Castello fu costruita una nuova vasca, che costò alle casse civiche £ 758,42[33].
Dall’esame di una stima dei beni mobili datata 30 dicembre 1891 ci si può fare un’idea di quanto essenziale fosse l’arredo di un centro montano pur abbastanza importante quale Bovegno: il valore totale della mobilia e arredo del Comune (comprese le attrezzature e la logistica dei fontanieri e dello stradaiuolo) assommava a £ 886,70. Parimenti si desume dal medesimo inventario quali fossero i locali del municipio alla fine del XIX secolo: la sala consigliare, una stanza uso archivio, la segreteria, il gabinetto del sindaco, il ripostiglio della legna[34].
Nel 1937 vennero eseguiti non meglio precisati lavori di sistemazione della casa comunale, mentre nel novembre 1938 l’Istituto Orfani di Brescia fornì a Bovegno la targa per il poggiolo della casa comunale con la dicitura “MUNICIPIO” che ancora oggi campeggia in facciata[35]. Nel 1943 il Comune intese adibire immobili comunali in via Roma per ricavare alloggi per i suoi dipendenti comunali, che nel 1951, all’epoca del Sindaco Giovita Gatta (1946 – 1954) erano in tutto quattro (esclusi i salariati)[36].
Nel 1950 furono pavimentate in porfido le vie Roma e IV Novembre, transitanti in fregio alla centrale piazza Zanardelli.
Il municipio di Bovegno oggi
Oggi il centro del paese di Bovegno è chiaramente identificabile nella piazza intitolata a Giuseppe Zanardelli[37], lo statista nativo di Nave che tanto amava la Valle Trompia e molto si adoperò per il suo sviluppo e progresso. Nella piazza di Castello che, come abbiamo visto rappresentò storicamente il nucleo centrale sin dall’epoca medievale, sorgono, oltre alla casa comunale, i maggiori edifici civili e religiosi: la torre a pianta quadrata, la parrocchiale di San Giorgio, la locale banca cooperativa. Tra il 1899 e il 1902 il centro di Bovegno potè essere più facilmente raggiunto grazie alla realizzazione della strada di congiunzione con la provinciale e le frazioni di Piano e Castello; i lavori, diretti dall’ing. Cavadini di Lavone, comportarono un esborso di £ 8.420[38].
Il palazzo municipale, affacciato sulla centrale piazza Giuseppe Zanardelli, presenta una sobria e severa facciata principale caratterizzata a pianterreno da due portoni a sesto acuto e profilati in bugnato; al primo piano, al centro, è situato un balcone con ringhiera bombata in ferro battuto e la già citata insegna metallica con la dicitura “MUNICIPIO”; sempre a tale livello si aprono quattro finestre rettangolari, con architravi aggettanti; a chiudere il prospetto è un cornicione pur’esso marcatamente sporgente.
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[1] Riportato anche in D. BRENTANA 1934, p. 99.
[2] Archivio di Stato di Brescia (ASBS), Comune di Bovegno, perg. n. 7, M. Bazzana, pp. 180-181-184.
[3] Archivio di Stato di Brescia (ASBS), Comune di Bovegno, perg. n. 7.
[4] ASBS, Prefettura del Dipartimento del Mella, b. 109.
[5] AA. VV. 2006, p. 296.
[6] Archivio di Stato di Brescia (ASBS), Comune di Bovegno,perg. 155-156. Vedi anche V. BRENTANA, p. 16.
[7] V. BRENTANA, p. 16.
[8] V. BRENTANA, p. 22.
[9] A. FRUMENTO, p. 467.
[10] V. BRENTANA, p. 16.
[11] Deliberazione 17 pratile 1798 anno VI repubblicano in ASBS, Comune di Bovegno, b. 5. Vedasi anche, ad esempio, ASBS, Prefettura del Dipartimento del Mella, b. 108.
[12] Documento n. 395 anno X repubblicano 23 frimaio in ASBS, ibidem.
[13] AA. VV. 1999, p. 60.
[14] ASBS, Prefettura del Dipartimento del Mella, b. 109. Vedasi altresì ASBS Architetti, ingegneri, agrimensori, b. 327.
[15] Documento 10, deliberazione del 3 agosto 1864 ibidem.
[16] Documento n. 349, deliberazione 28 dicembre 1866 ibidem.
[17] Documento n. 379, deliberazione consiliare del 1866 ibidem.
[18] AC, Annali di Bovegno, f. 489.
[19] AC, cat. X, b. 283.
[20] A. FAPPANI, Enciclopedia Bresciana, Edizioni “La voce del popolo”, Brescia 1972-74, vol. I, p. 254, sub voce Bovegno.
[21] B.A. 1489, 29 dicembre.
[22] Dagli Annali di Pietro Voltolino (1765) riportati in AA. VV. 1985, pp. 113 e seguenti.
[23] ASB notarile Brescia, f. 9132. Atto 26 aprile 1692.
[24] ASBS, Comune di Bovegno b. 5.
[25] Stima G. Amadini del 18 maggio 1830, in ASBS, Comune di Bovegno, b. 109.
[26] AA. VV. 1985, p. 52.
[27] ASBS, Architetti, ingegneri, agrimensori, b. 327. Il Miglio era una parte della prigione.
[28] ASBS, Comune di Bovegno, buste 327-328.
[29] ASBS, Prefettura del Dipartimento del Mella, b. 108.
[30] Ibidem.
[31] Ibidem. Perizia datata 2 dicembre 1807.
[32] ASBS, Comune di Bovegno, b. 363, fasc. 5.
[33] ASBS, Comune di Bovegno, b. 334.
[34] ASBS, Comune di Bovegno, b. 109.
[35] Lettera del Podestà di Bovegno 18 novembre 1938 in AC, b. 286.
[36] Cfr. ACB 1951.
[37] Prima di essere intitolata allo statista bresciano la piazza era denominata di Castello.
[38] ASBS, Comune di Bovegno, cat. X, b 336.