Nel 1855 le truppe straniere “regalarono” alle nostre contrade il colera. Scrisse il commissario austriaco al parroco di Gardone: «Sul timore che il colera…possa estendersi anche alle nostre contrade…porre in opera tutti i mezzi precauzionali per tenerlo lontano…Fra questi mezzi il più
raccomandato è la pulitezza tanto delle abitazioni e contrade quanto delle persone» e concludeva ordinando la rimozione di rifiuti, scoli e concimi dalle pubbliche vie.
Gli anni che vanno dal 1848 al 1860 furono contrassegnati da una profonda crisi dell’industria e dell’artigianato valtrumplino: infatti l’Austria osteggiava l’instaurazione nella provincia di solide basi industriali, cercando viceversa di mantenere la zona il più possibile agricola. Come annota il Cocchetti (pp. 194-195) le produzioni di ferro armi carta cuoio e lana, tutte presenti nelle valli del Mella del Gobbia del Garza, subirono in quegli anni una grave battuta d’arresto. Vengono a tal proposito citati i numerosi mutui passivi cui ormai molte persone e imprenditori non erano più in grado di estinguere.
Il giogo austriaco si faceva di giorno in giorno più pesante. L’insofferenza della popolazione verso la sorda arroganza del dominio straniero era aggravata dal soffocamento dell’industria trumplina: i mutui passivi, le commesse troppo esigue impedivano i necessari investimenti, le opportune manutenzioni. L’agricoltura e l’allevamento d’altra parte, già da sempre al di sotto del livello di sussistenza, furono colpiti da un fiscalismo sempre più esoso nonché da periodi di magra e malattie, come quella grave dei bachi da seta. La proprietà fondiaria si presentava in valle più polverizzata che altrove; i piccoli proprietari erano titolari di veri e propri fazzoletti di terra, spesso prativa, con piccoli coltivi od orti per cui la sopravvivenza era assai ardua. Le miniere dell’alta valle, che erano una quarantina all’inizio del secolo, e che allora fornivano q 287.437 di materiale, nel 1857 erano ridotte alla metà e lavoravano quasi esclusivamente d’inverno, quando i mineranti erano liberi dai lavori agricoli. In Valgobbia veniva estratta la pirite epatica da cui veniva ricavato il rame. In difficoltà erano le cartiere, le concerie, i pochi allevamenti di bachi, e l’industria armiera. La conseguenza furono alcuni episodi di disobbedienza che vennero registrati anche in Valle Trompia alla vigilia della Guerra d’Indipendenza (Abeni V 58).
Dal puntuale studio del Cocchetti apprendiamo che la popolazione del distretto di Gardone (quello di Bovegno era stato nel frattempo soppresso [1]), corrispondente grosso modo all’attuale Valle Trompia, assommava nel 1857 a 19.295 abitanti; le pertiche censuarie (superficie agricola) erano 298.161 e il numero delle ditte (dati 1856) ammontava a 4.889. Interessante notare nella sotto riportata tabella la consistenza dell’allevamento di bestiame in valle nel 1857.
Vacche
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3.840
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Buoi
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201
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Vitelli
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1.801
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Tori
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52
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Ovini
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1.732
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Caprini
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1.473
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Suini
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1.018
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Cavalli
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179
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Asini
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93
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Muli
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245
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Tra i Comuni della valle nel 1858 le rendite censuarie maggiori erano concentrate a Bovegno (lire 41.163), Collio (lire 38.394) e Sarezzo (38.341); le minori erano a Pezzoro (lire 5.066), Irma (lire 5.086) e Magno (lire 6.064).
Anche in Valle Trompia squilla la tromba della libertà e s’innalza il vessillo della battaglia per l’indipendenza della Patria. Nella zona si svolsero alcune operazioni militari: varie compagnie austriache cercarono di controllare i valichi del Maniva e di Croce Domini; dal canto suo Giuseppe Garibaldi, dopo la vittoria italiana a San Martino e Solferino (24 giugno 1859), dislocò dei presidii dal Maniva a Collio. Come noto l’armistizio di Villafranca (11 luglio 1859) pose fine al duro quanto eroico conflitto.

Garbaldini della Valtrompia (1860)
Tra i Mille al seguito di Garibaldi vi furono pure due valtrumplini: Cesare Scaluggia di Villa, e Crescenzio Baiguera di Gardone Val Trompia, quest’ultimo morto in battaglia a Calatafimi nel 1860.
Alle elezioni comunali, provinciali e politiche del 1860 i trumplini sostennero il “loro” Giuseppe Zanardelli [2]. Il risveglio d’Italia ebbe benefiche conseguenze anche in Valle Trompia. Qui, come altrove, sorsero società operaie di mutuo soccorso con il compito di aiutare i soci e le loro famiglie, promuovere l’istruzione e istituire biblioteche. A Carcina, solo per fare un’esempio, la locale società venne sostenuta con larghi mezzi dall’industriale Francesco Glisenti, fondatore del primo grande stabilimento nella valle.
Dal punto di vista amministrativo nel 1865 l’Italia si dotò di una legge sull’ordinamento comunale che prevedeva a capo degli enti locali un esecutivo formato dal sindaco e dalla giunta, e un potere consultivo-amministrativo rappresentato dal consiglio.
La terza Guerra d’Indipendenza (1866) sfiorò soltanto la Valle Trompia, concentrandosi sulle zone allora di confine delle terre irredente del Caffaro, in Valsabbia e anche in Valcamonica.
Nel 1876, con la caduta della “destra storica” cavouriana, Agostino Depretis inaugurò il primo governo di sinistra. Zanardelli venne designato Ministro dei Lavori Pubblici (e qualcuno significativamente ribattezzerà Ministro dei Favori Pubblici); il valtrumplino per elezione Francesco Glisenti fu tra i fondatori dell’”Unione Liberale Progressista”, una nuova associazione politica.
Frattanto l’economia della valle progrediva, favorita anche dalla politica “casalinga” dello Zanardelli e della sua camarilla, ma nondimeno sostenuta dall’ondata della rivoluzione industriale e dall’attivismo di imprenditori, artigiani e maestranze pieni di idee e buona lena. In crisi il settore primario; dal contado parecchi rustici si riversarono in città, sovente con il loro seguito di animali da cortile e umili masserizie. Tra le aziende importanti sorte in questo periodo figurano la siderurgica Polotti e la Gnutti (parti di armi e armi bianche) di Lumezzane, la Beretta di Gardone (verso la metà del secolo la fabbrica aveva riunito con Pietro Beretta le vecchie fucine ereditate per discendenza famigliare dal 1680); sette cartiere risultavano operanti tra Caino e Nave, mentre a Gardone, in realtà già sorta nel 1806, assunse maggiori dimensioni e importanza la Reale Fabbrica d’Armi, arsenale di Stato che si sviluppò a partire dagli anni ’70 e fu favorito da Zanardelli con cospicue commesse per l’esercito nazionale; sempre a Gardone iniziò a produrre nel 1885 la Redaelli, specializzata in chiodi, broccame per scarpe e funi metalliche; si è già fatto cenno alla fonderia Glisenti, ma va precisato che la famiglia proprietaria possedeva, oltre al grande stabilimento di Carcina, vari forni, fucine, fabbriche meccaniche, armiere e persino una miniera a Bovegno; a Zanano di Sarezzo e Villa Carcina operavano due filatoi, a Concesio era attivo il calzificio Ambrosi (1890) e, dal 1860 la famiglia industriale dei Capretti, aveva impiantato un esteso opificio [3], e a Cogozzo di Villa Carcina il filatoio Mylius (1889). Dal 1888 era inoltre attivo in Bovegno un caseificio sociale alpino.
La Valle Trompia divenne così uno dei poli industriali della neonata Italia. Non è certo un caso se a Pezzate nel 1859 avvenne il primo sciopero di lavoratori bresciani documentato: a incrociare le braccia furono nell’occasione 150 minatori.
L’età “zanardelliana” costituì dunque un’epoca di fermento e sviluppo per la valle del Mella. Nell’agosto 1890 Zanardelli fece in modo che avesse luogo in valle un evento straordinario: la visita di re Umberto ad alcune industrie della zona. Una visita che fu replicata due anni più tardi con Zanardelli Ministro della Giustizia ad accompagnare il sovrano.

Re Umberto e Zanardelli alla Glisenti (E. Ximenes)
Lo sviluppo del settore secondario portò con sé i benefici della modernità: nel 1891 Gardone fu dotata di illuminazione pubblica elettrica, precedendo in ciò persino la città (1893). Poco dopo l’elettricità giunse sino a Collio.
Dopo il tempo della “poesia” (il Risorgimento eroico e glorioso) fu questo il tempo della “prosa” (la tardiva ma esplosiva rivoluzione industriale italiana e segnatamente lombarda e anche valtrumplina). Le povere terre solcate dal Mella, da questo sostenute con energia idrica prima solo meccanica e poi anche elettrica, nascevano a nuova vita, si accrescevano demograficamente, miglioravano in stato materiale e spirito, progredivano economicamente e culturalmente. Una cultura del lavoro con cui la Valle Trompia si accinse ad affrontare il nuovo secolo con la consueta durezza e determinazione, ma con in più una nuova forza produttiva e una crescente ricchezza.