Il XVIII secolo si era chiuso con la controffensiva austro-russa; gli abitanti delle valli, Trompia compresa, si erano dati alla diserzione e al sabotaggio prima, alla devastazione e al saccheggio poi [1].
Sul finire della primavera dell’anno 1800 i filo-francesi bresciani s’impadronirono nuovamente del potere anche a Brescia. Nuovi motti, anticipatori del Risorgimento, risuonavano sulle labbra e negli scritti dei napoleonici bresciani: per la prima volta si parlava di Patria, di onore dell’Italia, di liberazione dall’oppressione austriaca. L’atteggiamento della Francia si mostrava formalmente meno ostile che in passato verso la religione, ma le requisizioni e le soppressioni di beni ecclesiastici proseguiva con il solito zelo: nel 1805 in valle venne soppresso il rito dell’indulgenza del Perdon d’Assisi che si svolgeva presso la basilica gardonese di Santa Maria degli Angeli [2].   Con la pace di Luneville (19 febbraio 1801) il confine cisalpino è posto all’Adige. Il dipartimento bresciano (escluse la Valle Canonica e il Garda) era denominato “Il Mella”.
La Repubblica Italiana (1802-1805) e il successivo Regno d’Italia (1805-1814) si tradussero per i Bresciani in anni di dispotismo e di pesante sfruttamento da parte dei Francesi. L’ostilità anti-asburgica anche in Valtrompia cresceva di giorno in giorno. Tuttavia tutto appare quasi quieto sino al 1813 quando a novembre l’offensiva austriaca giunse dal Tirolo sino a Gardone V.T., l’astro del Bonaparte volgendo ormai al tramonto. Nel febbraio dell’anno dopo la Valle Trompia risulta tra le zone “calde” del conflitto austro-francese; a Lavone avvenne un duro scontro con un presidio transalpino che vide prevalere gli asburgici. Una reazione francese tuttavia riuscì momentaneamente a ricacciare indietro i nemici in casacca bianca. Alla fine, come è noto, vinse l’Austria e i Bresciani furono incorporati nell’impero austro-ungarico all’interno del regno Lombardo-Veneto, a sua volta formato da due territori (Milano e Venezia), province, distretti e comuni. La nostra provincia venne suddivisa nel 1816 in 17 distretti; in Valle Trompia vi erano il VI distretto con capoluogo Gardone e il VII con capoluogo Bovegno. Sotto la dominazione austriaca venne a cambiare l’amministrazione, la Chiesa tornò a svolgere un ruolo centrale non solo nella cura delle anime, ma anche nella gestione del territorio: l’anagrafe, per esempio, era istituita soltanto presso le parrocchie; i parroci erano direttori delle scuole elementari minori (classi prime e seconde), alcuni istituti di credito nacquero all’ombra dei campanili e i sacerdoti erano spesso responsabili in prima persona dell’istruzione pubblica; inoltre le parrocchie organizzavano sagre e fiere che, oltre a rappresentare segni tangibili di devozione e spiritualità, fornivano l’occasione per piccoli scambi e commerci. L’Austria, pur tenendo verso il potere ecclesiastico un comportamento talvolta fermo e indipendente, tenne in gran conto il ruolo dell’istituzione, peraltro assai attiva anche se non sempre così accondiscendente; accanto a una diminuzione delle imposte e a un’organizzazione amministrativa più snella della francese, fu ripristinato dal 1819 il servizio militare obbligatorio (a estrazione) abolito nel 1815; il diritto di difesa nei processi fu fortemente limitato; la censura si fece rigida e opprimente; la delazione fu elevata al grado di merito civile. Dal punto di vista sociale l’aristocrazia, nella quale l’Austria ripose una mal ripagata fiducia, riprese potere a scapito della borghesia. Per l’economia già dal 1816 l’imperatore Francesco I, durante la tappa bresciana all’interno del suo viaggio nel Lombardo-Veneto, commissionò alle armerie gardonesi 500 fucili al mese per l’esercito, alleviando un periodo di penuria che indusse alla sommossa, a dicembre, gli abitanti di Lumezzane Pieve.
I moti del 1820-’21 e 1830-’31 sfiorarono appena la Valtrompia; tra i cospiratori spiccò tuttavia uno studente universitario di Pezzaze, tal Giovanni Riardi, tratto in arresto a Milano nel 1833.
Tra il 1833 e il 1848 la situazione parve stabilizzarsi. Dopo il 1836 i raccolti furono migliori e vi fu un periodo di relativo benessere. Tuttavia anche sotto le ceneri del disimpegno politico i patrioti o i semplici sabotatori, anche per ragioni di casta, continuavano a tener viva la fiaccola della rivolta.
L’eco dell’insurrezione di Brescia giunse in Valle Trompia e gli austriaci furono cacciati con decisione. Pure il Clero prese in alcuni casi parte attiva nella guerra dichiarata all’Austria da Carlo Alberto di Savoia il 23 marzo 1848 guerra che, se non fu caldeggiata, quanto meno non venne osteggiata dal pontefice Pio IX. La ripresa del controllo sul Bresciano da parte dell’Austria in seguito all’armistizio di Vigevano (9 agosto 1848) suscitò a ogni livello il più vivo disappunto.
L’anno successivo, sempre a marzo, la nuova guerra austro-piemontese mosse i Bresciani all’azione. In città era attivo un comitato clandestino favorevole all’unione col Piemonte, diretto da Bartolomeo Gualla; tra i componenti era pure il prete gardonese Luigi Beretta, professore al seminario cittadino. In Gardone il battagliero curato di Serle Pietro Boifava inviò dieci individui presso un tale Antonio Franzini, il quale fece aver loro armi e polvere da sparo (1° marzo 1849) [3].  Secondo i disegni sabaudi le valli bresciane avrebbero dovuto limitarsi a praticare atti di guerriglia e sabotaggi. Infatti spesso i montanari anche trumplini piombavano sulle colonne nemiche indi «risalivano come falchi a rintanarsi nel monte» (Odorici XI 151-152). Il 23 marzo Brescia si sollevò dando vita a una delle pagine più gloriose del Risorgimento, quelle Dieci Giornate che meriteranno alla nostra città l’appellativo di “Leonessa d’Italia”. Alcune centinaia di trumplini calarono su Brescia, le armi «dissotterrate o riesumate dai solai» (Vaglia). Ma i Piemontesi erano stati già battuti a Novara lo stesso 23 marzo e la generosa ribellione era destinata a concludersi in un eroico ma prematuro bagno di sangue. La spietata e disumana repressione del comandante Haynau e dei crudeli reparti croati e austriaci non spense tuttavia gli ormai radicati ardori patriottici di cui l’intera provincia, e la Valle Trompia compresa, era feconda. Il 12 agosto il maresciallo Radetzky abbinò la carota dell’amnistia e di parziali sgravi fiscali ai contadini al bastone dello stritolamento finanziario dell’aristocrazia, ritenuta la principale artefice dei moti, imponendo quindi anche una censura pesante e una rigorosa tutela militare e poliziesca; la Valle Trompia venne sorvegliata dal commissario distrettuale e dai suoi sgherri, con sede a Gardone.
Nel 1850 la furia della natura si abbattè sulla valle sotto forma della più esiziale alluvione mai patita da questa già povera terra. Riferiremo in apposito capitolo di questa sciagura.


[1] Abeni IV 229 cit. Odorici X 124 da Brognoli.
[2] A testimonianza di un atteggiamento dell’Austria niente affatto opposto tale rito verrà ripristinato soltanto nel 1877 mediante bolla pontificia.
[3] Abeni IV 368
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