Se nel corso del III secolo prima di Cristo le legioni di Roma si scontrarono, “scacciando i (Galli) Cenomani dalla Padania” (Strabone), e nel II secolo l’identità cenomane nell’attuale provincia di Brescia andò affievolendosi, in Valle Trompia le tribù barbare erano ancora padrone del territorio. Nell’89 a.C. la “lex Pompeia” che disciplinava le colonie fedeli e federate (tra cui Brixia) ancora non comprendeva la Valle Trompia. Le tribù ivi stanziate erano piuttosto adtributae, ovvero aggregate alle adiacenti colonie, ma di fatto erano fuori dal controllo di Roma. Tra il 16 e il 14 a.C. la campagna militare di Claudio Nerone Druso vide soccombere i Retii, e le popolazioni barbariche ad essi connesse, tra cui i Trumplini, di cui parlavano già Plinius nella “Naturalis Historia” e Titus Livius nel primo libro della monumentale opera “Ab Urbe condita”.

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Già nel 15 a.C. venne istituita la provincia della Retia, di cui faceva parte la Valtrompia. A capo della zona è posta la tribù Fabia con al vertice un princeps, sorta di praefectus che controllava la valle sino almeno a Zanano. La valle solcata dal Mella divenne allora un tassello del grande mosaico civilizzatore di Roma, di quel capolavoro politico e amministrativo che fu la “confederazione romano-italica”; fornendo valide braccia per l’esercito (una curiosità: nella Mesia Inferiore fu ritrovata una stele che ricordava la morte in quella terra lontana di L. Plinius un soldato trumplino), nonché il ferro, così necessario per le armi. A lavorare nelle miniere i damnati ad metalla, delinquenti e schiavi ai lavori forzati. Le terre furono suddivise in pagi, e da Brixia si dipartì una mulattiera che favorì e aprì scambi e vie di comunicazione. In età augustea e tiberina (II sec.) fu costruito un acquedotto che captava a Gazzolo di Lumezzane per rifornire la bassa valle e Brescia. Dal punto di vista sociale le persone appartenenti alle plebi avevano essenzialmente due possibilità di migliorare il proprio status: quella di intraprendere qualche attività economicamente redditizia che consentisse un avanzamento di ceto per censo, e quello di militare nelle legioni e, i più abili, nelle coorti pretorie. 
Anche in Valle Trompia vi furono certamente soldati che servirono negli eserciti di Roma: ci è per esempio stata tramandata memoria di un militare appartenente alla XX legione, certo Lucius Plinius, trumplino (Domo Trumplia) che morì in servizio nella regione danubiana nei primi anni del I secolo d.C. Presso la Pieve di Lumezzane, poi, è attestato un cippo funebre posto da un certo Canino figlio di Sugasi che ricordava i due figli Sugasi e Staio, soldati della XXI legione “Rapax”, periti in servizio. 

Le credenze locali (Tullino, Brasseno) furono inserite nel pantheon romano mentre il culto divino degli Imperatori da Augusto in poi si estese a queste terre montane così lontane da Roma. Non mancarono famiglie ricche e potenti anche in Valtrompia, basti pensare alle ville patrizie di Villa Carcina e alla famiglia Roscia. 

L’alleanza coatta con la Roma repubblicana non comportò la soppressione delle tradizioni e delle autonomie indigene, l’aspetto delle comunità semmai mutando per l’apporto civilizzatore e improntato al progresso civile, logistico e amministrativo, non veniva alterato né cancellato; fu persino permessa la battitura e circolazione di moneta propria nelle antiche terre cenomani, compresa la Valtrompia

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