La visita di Carlo Borromeo era stata preceduta, alcuni anni prima, da una pestilenza “delle petecchie”. Alla fine dell’ondata mortifera nel 1577 a Brescia si erano contati 16 mila morti, in “provincia” oltre 20 mila. Assai criticata fu la decisione del vescovo Domenico Bollani di lasciare la città. Un rimprovero gli giunse pure dal Borromeo, ma tra gli storici assai duro fu l’Odorici.
Undici anni dopo la pastorale di S. Carlo, nel 1591, il Bresciano fu prostrato da una grave carestia. La Valtrompia, già in tempi ordinari carente di coltivazioni, patì la fame più di altre zone. Derogando dall’allora vigente divieto d’importare derrate, in particolare cereali, il senato veneto consentì gli scambi in tal senso. Ma i rifornimenti finivano quasi tutti in città e nei centri principali sicché le valli rimasero a bocca asciutta. I Valtrumplini e i Valsabbini allora decisero di adottare la “temeraria risoluzione” di assaltare, armi in pugno, i carri di grano destinati a Brescia. La reazione di Venezia fu ferma e al tempo stesso saggia, sollecitando ai rettori interventi repressivi ma, consapevole della penosa situazione, raccomandò moderazione e di chiudere un occhio qualora i valligiani avessero commerciato in segale e “formento”, dacché era impensabile che essi potessero ricavare il necessario per il sostentamento con il solo sfornare povere focacce di pasta di legumi.
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Peste e carestia
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