Invero non molti furono gli uomini d’arte e cultura che la Valle Trompia espresse nel secolo della Rinascenza. Non va tuttavia dimenticato il notevole patrimonio di conoscenze e di tradizioni artigiane che videro sorgere e forgiarsi la gloriosa industria armiera e la più ferrigna attività estrattiva.
Tra le emergenze vanno citati per le disputazioni matematiche e scientifiche che intrattenne con il Tartaglia un certo Zanne Tonini (detto anche Zuan Colle) da Collio, operante nella prima metà del sec. XVI. Sempre a Collio fu attiva dal 1502 al 1538 una tipografia.
Attivi a cavallo tra XV e XVI secolo furono i da Caylina (Paolo era cognato del Foppa), in particolare Paolo da Caylina il giovane. Nella pittura si distinse anche Antonio Acquisti da Gardone Val Trompia († 1548). A Gardone nel ‘500 un certo Serafino cesellò meravigliosamente un’armatura per l’imperatore Carlo V e confezionò uno stocco prezioso per il re di Francia Francesco I.
Tra gli artisti attivi in valle ve ne furono di importanti; oltre al Romanino vanno citati almeno Pietro Maria Bagnatore (1545-post 1620) da Orzinuovi e Alessandro Bonvicino detto il Moretto (1495-1554).
Tra le curiosità letterarie va rammentato che nel 1538 a S. Maria del Giogo (sopra Polaveno) fu rettore il poeta maccheronico e monaco benedettino Teofilo Folengo.
Gardone fu il centro di un’oasi industriale nel generale panorama agricolo. Gli armaioli costituivano una forza economica relativamente indipendente, percorsa anche da fermenti anabattisti e luterani, giunti dalle terre germaniche insieme con le merci e alcune maestranze. A loro volta maestri trumplini migravano verso il cuore dell’Europa trovando lavoro in Carinzia e in altre aree di lingua tedesca, specie nei tempi di pace contrassegnati in patria dalla stagnazione della produzione armiera. Le maestranze delle canne erano formate dai “patroni” degli “edifici da fogo” (proprietari) e dai capi maestri; questi ultimi, a loro volta, si suddividevano in fondellieri, molatori, livellatori, invidadori e fornidori. Raramente le botteghe assemblavano le armi per intero. Per rendere l’idea dell’importanza della Valle Trompia in questo settore basti ricordare che agli addetti alle armi da guerra era fatto divieto dalla Serenissima di lasciare Gardone. Il primo documento in cui vengono citate le famiglie artigiane che avevano rifornito dei loro archibugi le sale delle armi di palazzo ducale a Venezia è del 31 luglio 1533. Si tratta di una comunicazione dei Rettori di Brescia indirizzata al Consiglio dei Dieci. Tra le menzionate i Chinelli, gli Acquisti, i Bertolio, i Cominazzo e i Beretta, questi ultimi originari di Inzino e, secondo Morin e Held titolari della più antica impresa industriale al mondo, tramandata di padre in figlio per 12 generazioni sino ai giorni nostri (Mazza).
La produzione armiera andava consolidando i propri lusinghieri risultati anche grazie ad accorgimenti tecnici e invenzioni tra le quali spicca nel 1509 la realizzazione da parte di Pietro Francino di un maglio che ridusse a meno di 1/3 il tempo di fattura delle canne. L’incremento di armi disponibili, come accennato in precedenza, si faceva pressante in occasione dei conflitti: nel 1570 durante la guerra di Cipro (quella conclusasi con la gloriosa vittoria cristiana nella battaglia di Lepanto contro i Turchi) agli “archibuseri” gardonesi fu chiesto di lavorare giorno e notte.
Nel 1586 nella cittadella armiera erano attive 19 fucine di grosse dimensioni e ben 50 più piccole. In netta prevalenza erano prodotti fucili, ma anche pistole e altre armi.
