Il Secondo dopoguerra.
 
 
In Valtrompia come nel resto del nord Italia le civiche amministrazioni vennero tolte ai podestà e, dopo un periodo di gestione provvisoria dei comitati di liberazione, tornarono ai sindaci. Il cambio politico e ideologico non coincise, se non in pochi casi, col cambio del personale: in Valle Trompia, su un totale di circa duecento, furono solo sei i pubblici dipendenti sospesi dall’incarico e deferiti alla commissione provinciale; tre di costoro presto reintegrati nella Pubblica Amministrazione.
La neonata istituzione repubblicana non poteva permettersi il lusso di licenziare in massa funzionari e travetti per lo più probi e capaci, né avrebbe saputo formare in tempi ragionevoli nuovi quadri per il funzionamento, anche solo ordinario, della burocrazia, senza correre il rischio di paralizzare tutto. Per contro il compito di ingoiare il rospo fu reso meno amaro, e più giustificabile, in seguito alle attestazioni di fedeltà e ai comunicati ufficiali di categoria – come a esempio quello diramato in quegli anni dall’associazione dei segretari comunali – che si affannarono a giurare fedeltà al nuovo regime. Altri si difesero affermando che, restando al loro posto negli anni della dittatura, avevano garantito il funzionamento della res publica. In molti casi si trattava semplicemente di rinnegare qualcosa che era stato sconfitto senza tema di ritorsioni e di abbracciare una “nuova fede” per assicurarsi uno stipendio sicuro.
Tutto ciò non stupisce, stante la povertà dilagante; e molto era andato perduto, deteriorato con la guerra. Lo Stato e, a cascata, le istituzioni locali promossero una serie di lavori pubblici che funsero da ammortizzatori sociali contro la disoccupazione, costituendo altresì un volano per lo sviluppo di comunità territoriali moderne ed efficienti. Anche in valle si succedettero opere di ogni genere: dagli acquedotti alle scuole, dal metanodotto alle case popolari.
L’iniziativa privata come sempre non difettava al popolo trumplino: l’industria meccanica, rinvigorita dall’esperienza bellica in quanto essenziale per la guerra stessa, proseguì la sua marcia di costanti progressi anche nel quinquennio 1945-1949, ma con più di una difficoltà negli anni della ricostruzione, quelli dell’immediato dopoguerra. In frangenti così difficili riprese l’emigrazione, soprattutto verso Francia, Belgio, Svizzera. A fare fagotto erano specialmente i montanari che vivevano in aree poco o nulla industrializzate. La Valle Trompia, che aveva fornito ospitalità in tempo di guerra a un gran numero di sfollati dalla città bombardata e mutilata dagli aerei alleati, ma anche dalla Bassa e persino dal Milanese, tornava ora a fornire braccia e sudore a quelle nazioni che già ai primi del ‘900 avevano ricevuto molti trumplini nelle loro fabbriche e nelle loro miniere.
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